L'amministrazione finanziaria non può contestare una maggiore plusvalenza a una società che ha ceduto un immobile con valore di mercato superiore a quello di vendita, in quanto in presenza di una contabilità correttamente tenuta sono necessari altri indizi sintomatici di evasione, non potendosi applicare automaticamente alle imposte sui redditi il valore rilevante ai fmi del registro in quanto le due imposizioni seguono regole differenti.
A fornire questa interpretazione è la Corte di cassazione, sezione Tributaria, con la sentenza 24054/2014. La vicenda trae origine da alcune contestazioni effettuate a una società immobiliare, tra le quali la rettifica della plusvalenza perla vendita di alcuni immobili. Nel caso in oggetto, il maggior valore determinato dall'Ufficio traeva origine dal valore di mercato comunicato dall'Ute superiore a quello dichiarato nella cessione. Mentre la commissione provinciale accoglieva il ricorso della società, i giudici di secondo grado confermavano la legittimità dell'accertamento. L'impresa presentava ricorso per Cassazione, lamentando, tra l'altro, che la rettifica fosse basata solo sulla differenza tra valori dichiarati e quelli di mercato, senza considerare che, ai fini delle impose sui redditi, il valore venale non assume alcuna rilevanza.
I giudici di legittimità hanno accolto il ricorso evidenziando che nell'accertamento delle imposte sui redditi di impresa la plusvalenza realizzata con la vendita di un immobile deve avere riguardo alla differenza tra il prezzo di acquisto e quello di cessione e non al valore di mercato (come per il registro). Ciò in quanto i principi di determinazione del valore di un bene trasferito sono diversi a seconda del tributo da applicare. Nelle imposte sui redditi i giudici ritengono "inequivoco" il significato del termine "corrispettivo" utilizzato dal legislatore che fa chiaramente comprendere la differenza rispetto al valore venale. Pertanto, in presenza di contabilità formalmente corretta, per una rettifica analitico induttiva l'ufficio non può limitarsi alle valutazioni dell'Ute solo perché superiori rispetto ai valori dichiarati dall'impresa. Queste valutazioni, da sole, non sono infatti sufficienti a giustificare l'accertamento. Spesso l'amministrazione determina la plusvalenza applicando il valore di mercato del bene ceduto, rilevante ai fini del registro. Ciò soprattutto se l'acquirente ha prestato adesione o acquiescenza all'accertamento ai fini dell'imposta di registro. Con questa sentenza, seppur relativa al reddito di impresa, i giudici di legittimità chiariscono che la determinazione del valore del bene segue criteri e regole differenti a seconda del tributo da applicare: nell'imposta di registro si fa riferimento al valore venale, nelle imposte sui redditi ai corrispettivi.