L'amministrazione non può disconoscere la detraibilità dell'Iva relativa a un costo risultante da una fattura regolarmente registrata limitandosi a rilevare una possibile antieconomicità. Deve invece fornire elementi che dimostrino la non veridicità o la non inerenza dell'operazione.
Ad affermare questi interessanti principi è la Corte di cassazione con la sentenza n. 25999/2014. La vicenda trae origine da un avviso di accertamento con il quale l'agenzia delle Entrate negava la detraibilità dell'Iva su fatture di servizi (quali elaborazione e registrazione di fatture, controllo di gestione, certificazione di qualità e sugli acquisti) scambiati tra società appartenenti a un gruppo.
Secondo l'ufficio, i costi fatturati erano privi dei requisiti di certezza e oggettività, poiché sproporzionati rispetto al presumibile carico di lavoro deducibile dal volume di affari. Inoltre, l'impresa, non avrebbe provato l'esistenza delle prestazioni ricevute. La società ha proposto ricorso dinanzi al giudice tributario, il quale, in entrambi i gradi di merito, ha confermato la legittimità della pretesa. La decisione è stata impugnata in Cassazione, che ha accolto le ragioni della contribuente. La Suprema Corte ha chiarito che l'onere della prova sull'esistenza di un'operazione grava sull'amministrazione. L'intera disciplina tributaria obbliga, infatti, il contribuente alla tenuta delle scritture contabili che rappresentano l'unico adempimento a carico del contribuente per dimostrare la propria realtà economica. Grava, quindi, sull'ufficio che disconosce la deducibilità di un costo o la detraibilità di un'imposta, l'onere della prova sulla veridicità o sull'inerenza della registrazione. La fattura è documento idoneo a rappresentare il costo dell'impresa e pertanto ove l'amministrazione lo ritenga inesistente o non inerente, lo deve provare. Spetta poi al giudice tributario valutare singolarmente e complessivamente gli elementi indiziari forniti dall'ufficio, motivando nella sentenza l'eventuale esistenza della gravità, precisione e concordanza, consentendo così l'ingresso alla prova contraria del contribuente. In merito, poi, alla congruità del corrispettivo fatturato, la Cassazione, dopo aver richiamato i principi contenuti nelle direttive Ce, afferma chela manifesta illogicità o anomalia della condotta benpuò essere un elemento indiziario, ma grava in ogni caso sull'amministrazione la prova, anche presuntiva, che le operazioni poste in essere sono assolutamente contrarie ai canoni di economia. Alla luce di tali principi, consegue che il diritto alla detrazione dell'imposta può essere escluso solo se l'ufficio dimostri che l'antieconomicità sia sintomo di non veridicità della fattura ovvero di non inerenza della destinazione del servizio o del bene. La Corte conclude affermando che consentire un'immotivata contestazione da parte dell'ufficio, significherebbe privare di rilevanza il documento "fattura", anche dinanzi a un regolare comportamento del contribuente in ordine ai propri obblighi contabili.